Contributi: nel 2023, grazie alla rivalutazione, valgono di più 😀 e le pensione saranno più ricche

Il Ministero del Lavoro ha comunicato una notizia bomba: alcuni contributi varranno di più. Quali sono e a quanto ammontano?

È stato ufficializzato il tasso di capitalizzazione del montante contributivo. I contributi versati durante la carriera lavorativa, dunque, aumenteranno.

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Nelle prossime settimane ci saranno una serie di novità relative alle pensioni. La rivalutazione, infatti, riguarderà non solo l’importo degli assegni, ma anche il montante contributivo (cioè l’insieme dei contributi versati dal lavoratore durante la sua attività). I contributi, quindi, aumenteranno il loro valore.

Il Ministero del Lavoro, dietro indicazione dell’ISTAT, ha comunicato i valori del tasso di capitalizzazione. Si tratta del criterio in base al quale si determina la percentuale da applicare ai contributi versati dal lavoratore, in modo tale da adattarli all’andamento dell’indice dei prezzi.

Vediamo, dunque, quali saranno gli effetti di tale manovra sui contributi e che benefici ne trarranno i lavoratori.

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Rivalutazione dei contributi: cosa comporta?

Dall’aumento del montante contributivo scaturisce, ovviamente, anche l’aumento dell’importo della pensione futura. Utilizzando il sistema contributivo, infatti, l’assegno previdenziale è calcolato sommando al montante contributivo il cd. coefficiente di trasformazione. Quest’ultimo parametro cambia in base all’età anagrafica posseduta al momento della pensionamento. Di conseguenza, più alto è il montante contributivo e più ricca sarà la pensione.

Lo scorso anno, purtroppo, non è intervenuta alcuna rivalutazione dei contributi, perché il tasso era addirittura negativo. In realtà, non sarebbe corretto parlare di svalutazione del montante contributivo, ma di una sua rivalutazione uguale a zero, con l’impegno di recuperare la differenza con la rivalutazione dell’anno seguente, ai sensi del Dl. 65/2015.

Per il 1° gennaio 2023, quindi, vi sarà un aumento, seppur minimo (inferiore all’1%).

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Gli incrementi previsti per il 2023

Bisogna chiarire, però, che gli incrementi contributivi riguarderanno esclusivamente i pensionati del 2023. Solo per tale categoria, infatti, il Ministero del Lavoro ha dichiarato il tasso di rivalutazione dello 0,9758%.

Ma in che modo si determina tale cifra? Il tasso medio annuo composto di variazione del prodotto interno lordo nominale (riferito ai 5 anni precedenti il 2022) si è rivelato uguale a 0,009973. Inoltre, per determinare il coefficiente di capitalizzazione, bisogna aggiungere 1 a tale valore, per un risultato di 1,009973.

È dovuto intervenire, però, il recupero della mancata svalutazione dell’anno scorso, durante il quale c’è stato un valore negativo di 0,000215. Di conseguenza, il coefficiente di capitalizzazione effettivo sarà uguale a 1,009758, cioè si avrà una rivalutazione dello 0,9758%. Nel complesso, è un dato minore di quello degli ultimi anni; nel 2021, infatti, era di 1,9199%, mentre nel 2020 di 1,8254%.

Il ruolo della rivalutazione dei contributi nel nostro sistema pensionistico

Come abbiamo già sottolineato, il montante è il dato che consente il calcolo della pensioni tramite sistema contributivo, introdotto il 1° gennaio 1996 dalla Riforma Dini.

Nello specifico, a partire dal 1° gennaio 1996 (o dal 1° gennaio 2012 per chi, entro il 31 dicembre 1995, aveva 18 anni di contributi), la contribuzione versata in favore del lavoratore (per i dipendenti è pari al 33% della paga imponibile lorda) viene accumulata e rivalutata annualmente, sulla base dell’andamento della crescita nominale del prodotto interno lordo degli ultimi 5 anni, appunto il cd. tasso di capitalizzazione.

Maggiore è il tasso di rivalutazione e più elevato sarà il valore dei contributi versati durante la carriera lavorativa; anche il montante contributivo, dunque, sarà più alto. Tutto questo ha effetti positivi sull’importo della pensione, che sarà più ricca.

Col sistema contributivo, infatti, l’assegno previdenziale scaturisce dalla moltiplicazione del montante contributivo per il coefficiente di trasformazione; quest’ultimo cresce se si posticipa l’accesso alla pensione. Per esempio, chi smette di lavorare a 67 anni (cioè al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia) ha un coefficiente uguale al 5,575%, mentre a 71 anni esso sale al 6,466%.

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