Permessi giornalieri retribuiti in questi casi che non tutti conoscono e non si tratta della legge 104

Il Consiglio di Stato si è espresso in merito alla possibilità per i padri di utilizzare i permessi giornalieri retribuiti per assentarsi dal lavoro ed accudire il figlio neonato. Ma la questione non è semplice.

La legge italiana garantisce la maternità e la paternità dei lavoratori, attraverso la previsione di congedi e permessi per conciliare attività lavorativa e famiglia.

Permessi giornalieri retribuiti
Adobe Stock

Il Consiglio di Stato, con l’Ordinanza 11 aprile 2022, n. 2649, ha deciso di rimettere all’Adunanza Plenaria tre questioni riguardanti l’utilizzo dei giorni di congedi, da parte del padre di figlio minore di un anno, qualora la madre sia casalinga. La decisione del Consiglio di Stato si è ritenuta necessaria in seguito ai contrasti interpretativi sul caso.

Permessi giornalieri per i genitori: cosa prevede la disciplina

La legge n. 1204/1971 prevede il diritto per le madri lavoratrici a godere di congedi giornalieri per assistere il bambino. Con la legge n. 903/1977, tale beneficio è stato riconosciuto anche nei confronti dei padri lavoratori, ma solo qualora ciò non fosse possibile alle madri e i figli fossero stati affidati solo ai padri.

Questa rivoluzionaria normativa fu emanata per tutelare maggiormente il minore ed i suoi interessi e per riconoscere eguali diritti e doveri ad entrambi i genitori, nella salvaguardia dello sviluppo psico-fisico del minore. Oggi, infatti, la legge riconosce anche al padre il ruolo di assistenza materiale e di supporto affettivo al figlio minore.

La sentenza della Corte Costituzionale del 1987

Con la sentenza n. 1 del 1987, la Corte Costituzionale ha riconosciuto la parità di trattamento tra l’uomo e la donna (previsto dall’art. 7, l. n. 903/1977) nella fruizione dei riposi giornalieri retribuiti, previsti per la lavoratrice (all’art. 10, l. n. 1204/1971), anche al padre lavoratore.  Questo diritto, però, nasceva solo nell’ipotesi in cui la madre non potesse più assistere il figlio, a causa di decesso o grave infermità.

L’importanza di tale sentenza risiede nel fatto che fu chiarito, per la prima volta, che lo scopo dei permessi giornalieri non era solo quello di garantire l’allattamento del neonato e tutelare le sue esigenze biologiche. Lo scopo di tali permessi, infatti, consisteva nell’assicurare ogni forma di assistenza al minore, durante il suo primo anno di vita.

La sentenza della Consulta del 1993: chi può usufruire dei permessi giornalieri?

Con la sentenza n. 179/1993 la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale l’art. 7 della legge n. 903/1977, nella parte in cui non consentiva al padre lavoratore di beneficiare dei permessi giornalieri per assistere il neonato in ogni caso, non solo nell’ipotesi di impossibilità della madre. Per la Consulta, infatti, la differenziazione dei ruoli genitoriali era da considerarsi, ormai, superata ed inaccettabile.

Entrambi i genitori, dunque, sono tenuti a collaborare per tutelare gli interessi del figlio e possono decidere di comune accordo, di volta in volta, di assentarsi alternativamente da lavoro.

Il Decreto legislativo n. 151/2002: perché crea contrasti

Il Consiglio di Stato ha valutato la portata degli artt. 39 e 40 del d.lgs. n. 151/2001, perché è in essi che risiede la causa dei continui contrasti giurisprudenziali in materia. L’art. 40, infatti, alla lettera b), richiama il diritto alla madre lavoratrice ai permessi giornalieri per assistere il figlio nel primo anno di vita e prevede la possibilità che esso spetti al padre solo se la madre è impossibilitata.

Il Decreto, poi, specifica che i permessi spettano esclusivamente al padre solo se egli è l’unico affidatario del figlio o l’unico genitore superstite. La II Sezione del Consiglio di Stato, dunque, ha sottolineato come una simile disciplina generi facilmente contrasti e come violi l’uguaglianza tra i genitori nella cura dei figli.

Le questioni, relative ai permessi giornalieri, esaminate dal Consiglio di Stato

La II Sezione del Consiglio di Stato ha, quindi, sottoposto all’attenzione dell’Adunanza Plenaria tre questioni:

1) se il termine “non lavoratrice dipendente”, riferito alla madre del neonato, nel caso di richiesta di permesso da parte del padre (lavoratore dipendente), si applichi a qualsiasi categoria di lavoro non dipendente. E, dunque, se si riferisca anche alle casalinghe, oppure solo alle lavoratrici autonome o libere professioniste;

2) nel caso di risposta affermativa alla prima questione, se il diritto del padre ad utilizzare i permessi giornalieri previsti dall’art. 40, d.lgs. n. 151 del 2011, avvenga a prescindere, oppure se sia legato alla circostanza che la madre casalinga, si trovi nell’impossibilità di accudire il neonato;

3) quale sia il corretto significato da conferire al principio di alternatività tra i due genitori in caso di parto gemellare, qualora la madre sia casalinga.

Lascia un commento


Impostazioni privacy