Le conseguenze inaspettate – e raccapriccianti – del consumo di tonno in scatola: lo studio

Tonno in scatola, chi avrebbe mai pensato che può far male alla salute? Scopriamo perché sarebbe meglio non mangiarlo. O sceglierlo quantomeno di ottima qualità.

tonno in scatola
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Per evitare “contestazioni” da parte dei produttori di tonno in scatola, precisiamo fin da subito che nessuno ha intenzione di “demonizzare” questo alimento. Molto gustoso, tra l’altro, e che compare tra le abitudini di moltissimi consumatori. Ci sono dei fattori, però, che possono portare anche a gravi problemi di salute. Questo a causa non tanto del pesce in sé ma di come viene lavorato e successivamente conservato. Andiamo a scoprire perché.

Tonno in scatola, quali sono i pericoli per la salute

Quando il tonno viene pescato, per ovvi motivi di conservazione data la natura stessa del tipo di cibo, viene parzialmente lavorato già a bordo. Viene tagliato, pulito, disinfettato. Quello destinato al confezionamento in scatola viene successivamente cotto e leggermente aromatizzato. Per rafforzare la conservazione viene aggiunta una discreta quantità di sale. Già con questo, chi soffre di ipertensione e/o colesterolo farebbe meglio a limitare il consumo del tonno di scatoletta.

Ma questo è il meno, perché i pericoli più gravi per la salute derivano dalla presenza di metalli pesanti, soprattutto piombo e mercurio. Questi due elementi, se si accumulano nell’organismo, provocano danni al sistema immunitario, ma anche all’apparato renale e intestinale. Alcuni studi scientifici, poi, sottolineano la possibilità di una relazione tra accumulo di metalli pesanti e danni al cervello. Persino l’autismo. Certo, non vi sono sicurezze “granitiche” sotto questo aspetto, ma se gli esperti valutano tale possibilità forse dovremmo farlo anche noi.

Lo studio di Altroconsumo

Secondo recenti analisi condotte da Altroconsumo “su 46 tranci di pesce (spada, tonno, smeriglio, verdesca, palombo) esaminati, 8 risultavano fuori legge e 12 custodivano un quantitativo di mercurio entro i parametri, ma sconsigliabile alle donne gravide e ai bambini. Un problema che, in Europa, risulta di tale portata soltanto nel Belpaese“.

Anche personaggi del calibro di Marion Nestle, docente di scienze della nutrizione all’università di New York, in un editoriale pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition afferma senza mezzi termini: “Purtroppo i pesci che hanno un maggior contenuto di omega 3 sono anche quelli che mostrano una maggiore concentrazione di mercurio. Il consumatore difficilmente sa riconoscere i pesci da evitare“.

Proprio per il fatto che il consumatore non riesce a indirizzare al meglio le proprie scelte, le donne che aspettano un bambino farebbero meglio a “stare lontane” dal tonno in scatola. In un momento delicato com’è quello della gestazione, ogni sostanza viene assorbita e condivisa dal feto. Dunque, il delicato equilibrio neurologico del nascituro potrebbe risultare compromesso. Alla luce di tutto ciò, chi ha intenzione di mangiare tonno, dovrebbe quantomeno scegliere quello di altissima qualità.

Come fare a riconoscere un tonno “più sano”.

Chi desidera, com’è giusto che sia, consumare del tonno conservato può tutelarsi imparando a scegliere quello migliore. Innanzitutto si può fare una prima distinzione, tra tonno in scatola e tonno sotto vetro. Alla prima categoria appartengono i tranci, alla seconda i filetti. Va da sé che i filetti sono tagli più “pregiati.

Una volta acquistato il tonno, fate attenzione alla consistenza. Sia i tranci che i filetti devono risultare compatti. Se il prodotto è “sbriciolato” significa che siamo in presenza di parti “di scarto” o comunque meno pregiate. Meglio dunque scegliere – se proprio – scatolette grandi, nelle quali c’è più possibilità che vengano usate parti migliori. Esaminando i filetti sotto vetro si potrà ancora meglio studiare il colore del tonno. Se è rosato si può stare sicuri, se tende al giallognolo, o al grigio, meglio scegliere un’altra marca.

Anche il sapore del tonno di qualità, che è armonioso ma delicato, fa capire che quando si mangia un prodotto che sa “troppo” di pesce significa che c’è qualcosa che non va. Infine, possiamo imparare a leggere bene le etichette delle confezioni. Bisogna sincerarsi di almeno 4 fattori: specie del pesce, luogo di pesca, il tipo di olio usato per la conservazione (meglio extravergine) e infine l’eventuale presenza di additivi e/o conservanti. Si riconoscono per le sigle che cominciano con la lettera “E”, seguite da numeri.

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