Chi ha lavorato dopo il 1995 è davvero penalizzato per la pensione? La risposta è inaspettata

Le pensioni contributive presentano delle peculiarità, comprese penalizzazioni più o meno elevate. Ma come funzionano?

Nel nostro ordinamento previdenziale, coloro che hanno iniziato a lavorare e a versare contributi a partire dal 1° gennaio 1996 vengono definiti “contributivi puri” e soggiacciono al relativo sistema di calcolo della pensione, introdotto dalla Riforma Dini.

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Chi ha lavorato dopo il 1995 è davvero penalizzato per la pensione? La risposta è inaspettata (informazioneoggi.it)

La differenza principale con i vecchi iscritti (ossia coloro che hanno contributi entro il 31 dicembre 1995) è quella relativa alla determinazione dell’ammontare dell’assegno pensionistico. Per i primi, infatti, valeva il meccanismo retributivo, che tiene conto degli ultimi cinque anni di stipendio o reddito e si presentava come più vantaggioso, soprattutto per chi poteva contare su retribuzioni elevate. Questo sistema, poi, è stato sostituito da quello misto (per chi ha versamenti sia prima sia dopo il 1996); ma in cosa differisce dal meccanismo contributivo? Quest’ultimo è davvero eccessivamente penalizzante? Facciamo chiarezza.

Sistema contributivo: pro e contro

Il sistema misto prevede il calcolo della pensione sul sistema retributivo per i contributi versati fino al 31 dicembre 1995 e su quello contributivo per gli accrediti successivi. Nel caso in cui prima del 1996 sono stati maturati almeno 18 anni di contributi, allora il retributivo si applica fino al 31 dicembre 2011.

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Sistema contributivo: pro e contro (informazioneoggi.it)

La peculiarità del sistema contributivo risiede nella circostanza che il cd. montante contributivo (ossia i versamenti accreditati) viene rivalutato a seconda dell’inflazione e moltiplicato per i relativi coefficienti di trasformazione. Nella maggior parte delle ipotesi, gli assegni risultano penalizzati con questo regime, anche perché non sono contemplate l’integrazione al minimo e le maggiorazioni sociali. In altre parole, vengono presi in considerazione esclusivamente i contributi realmente versati.

Nonostante le premesse, anche i contributivi puri possono godere di alcuni benefici per la futura pensione, perché ci sono degli strumenti riservati esclusivamente a tale platea di lavoratori. Innanzitutto, possono andare in pensione anche con un’anzianità contributiva inferiore a 20 anni (limite attualmente imposto per la pensione di vecchiaia ordinaria). Sono, infatti, sufficienti 5 anni di versamenti e 71 anni di età, a prescindere dall’importo dell’assegno. Per smettere di lavorare con un’anzianità anagrafica di 67 anni, invece, è richiesto che la pensione raggiunga un ammontare non inferiore a quello dell’Assegno sociale (che, per il 2025, è pari a 538,68 euro).

In alternativa, i contributivi puri possono accedere al pensionamento anticipato con 64 anni di età e 20 di contributi, a patto che la prestazione raggiunga un importo di almeno 3 volte l’Assegno sociale. Per le lavoratrici, infine, sono previsti degli sconti: per chi ha un figlio, la soglia si riduce a 2,8 volte l’Assegno sociale, mentre per chi ha più figli a 2,6 volte l’Assegno sociale.

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