Dal 2026 nuove misure fiscali potrebbero incidere sugli assegni mensili dei pensionati italiani: ecco come cambieranno gli importi.
Il 2026 si prospetta un anno di svolta per molti pensionati. Non tanto per un cambiamento nel metodo di calcolo dell’importo loro della pensione, quanto per le possibili novità sul fronte della tassazione. Si parla infatti di una riforma fiscale destinata a incidere direttamente sull’importo netto percepito ogni mese, con vantaggi tangibili sopratutto per i redditi medi.

In molti pensionati sperano nell’aumento degli importi netti è l’ipotesi di un taglio dell’IRPEF, in particolare dell’aliquota del secondo scaglione. La proposta attualmente al vaglio del governo punta a ridurre l’aliquota dal 35% al 33% e ad ampliare la fascia di reddito su cui applicarla, fino a 60.000 euro lordi annui. Questo meccanismo consentirebbe a una parte significativa dei pensionati di trattenere una quota maggiore della propria pensione.
Come cambieranno gli importi pensionistici nel 2026
Sul fronte del calcolo lordo è probabile che il sistema resterà stabile almeno fino al 31 dicembre 2026. I parametri che regolano la trasformazione del montante contributivo in pensione annua, ovvero i coefficienti di trasformazione, non verranno modificati. Questo vale sia per chi ha maturato i contributi nel sistema retributivo, valido fino al 1995, sia per chi rientra nel sistema contributivo successivo.

La vera novità riguarderà il netto in busta paga, su cui potrebbero intervenire modifiche sostanziali a seguito della riforma dell’IRPEF prevista dalla delega fiscale approvata nel 2023. L’obiettivo dell’intervento è duplice: da un lato, alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, dall’altro, favorire la ripresa dei consumi attraverso un aumento della liquidità nelle famiglie.
Nel dettaglio, il vantaggio fiscale massimo stimato si aggira intorno ai 640 euro l’anno, pari a circa 53 euro al mese, per i pensionati con redditi lordi pari a 60.000 euro. Man mano che il reddito diminuisce, il beneficio fiscale si riduce: a 40.000 euro si calcola un risparmio di 240 euro annui, mentre con 30.000 euro il vantaggio scende a 40 euro l’anno, ovvero poco più di 3 euro al mese. Nessun effetto, invece, per chi percepisce meno di 28.000 euro, poiché già tassato con l’aliquota minima del 23%.
Questo miglioramento, pur non toccando l’importo complessivo lordo della pensione, si traduce in un aumento reale dell’importo netto, ovvero ciò che viene effettivamente incassato ogni mese. In un contesto economico segnato dall’inflazione e dall’aumento del costo della vita, anche piccoli adeguamenti possono offrire un aiuto concreto per i pensionati che devono far fronte a spese fisse e crescenti.
Naturalmente, molto dipenderà dalla concreta approvazione della riforma nella legge di Bilancio e dalla disponibilità delle risorse necessarie per finanziare l’intervento. Il governo punta a recuperare fondi tramite la lotta all’evasione fiscale e il concordato preventivo biennale, ma la portata effettiva del beneficio sarà chiara solo nei prossimi mesi.