TFR e TFS sono comparabili tra loro oppure no? La sentenza che chiarisce tutto

Secondo una fresca sentenza della Corte Costituzionale – pur in un disegno di progressiva armonizzazione normativa – stante la finalità delle prestazioni TFR e TFS non possono essere ritenute prestazioni comparabili tra loro. I dettagli.

Come è ben noto, il trattamento di fine rapporto – in breve TFR – e il trattamento di fine servizio – in breve TFS – costituiscono due tipi di liquidazioni, erogate a favore del lavoratore dipendente al termine della propria esperienza lavorativa.

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Ebbene, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 258 del 20 dicembre scorso ha valutato come non fondate le questioni di legittimità costituzionale legate alle regole che permettono all’istituto di previdenza di revocare, modificare o rettificare d’ufficio i provvedimenti di liquidazione, relativi alle prestazioni previdenziali di cui al testo unico del 1973.

Secondo la Consulta, in particolare, le figure messe in confronto, vale a dire il TFS e il TFR,  che rappresenta l’istituto di applicazione generale sia per i dipendenti privati sia, in prospettiva, per gli stessi lavoratori dell’ambito pubblico, non sono tra di loro comparabili in riferimento alla disciplina che, negli aspetti di dettaglio, indica le modalità di calcolo e di versamento dei relativi assegni. In base al ragionamento della Corte Costituzionale è compito del legislatore la previsione di discipline differenziate delle distinte figure di indennità di fine rapporto. Cerchiamo di fare un po’ più di chiarezza su questo pronunciamento della Corte.

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TFR e TFS: le questioni di legittimità sollevate

La sentenza sopra richiamata trae spunto dalla scelta della Corte d’appello di Roma, quarta sezione lavoro, la quale ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 30, commi primo, lettera b), e secondo, del d.P.R. n. 1032 del 1973. Sarebbe infatti in gioco la violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione.

In particolare, le regole oggetto di censura permettono all’istituto previdenziale di apportare la revoca, la modifica o la rettifica d’ufficio dei provvedimenti di liquidazione, collegati alle prestazioni previdenziali di cui appunto al testo unico del 1973, determinandone condizioni e tempistica. La revoca, la modifica o la rettifica sono ad esempio permesse nel caso in cui il provvedimento di liquidazione sia stato emesso sulla scorta di documenti riconosciuti o dichiarati falsi.

Secondo il giudice che ha posto la questione, le regole violerebbero l’art. 3 Costituzione, sul piano di un’irragionevole disparità di trattamento che si verrebbe a creare tra gli impiegati pubblici in regime di TFS, per cui vale il regime di rettifica appena citato, e le altre categorie di lavoratori che sono invece assoggettate al diverso regime del trattamento di fine rapporto (TFR). E ciò anche in riferimento a impiegati pubblici che si avvalgono di diverse tipologie di indennità di fine servizio (come ad es. l’indennità premio di servizio dei dipendenti degli enti locali).

Su un altro piano la Corte d’Appello sottolinea invece la violazione dell’art. 97 Cost., perché il regime di rettifica del TFS, che tutela solo l’affidamento del beneficiario, si evidenzierebbe contrario al principio di buona amministrazione di un ente pubblico previdenziale.

La sentenza della Corte Costituzionale in tema di TFR e TFS

Ebbene, sulla scorta delle questioni segnalate, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 258 del 20 dicembre scorso ricorda che le indennità o liquidazioni di fine rapporto, pur nella diversa configurazione che hanno avuto con il passare degli anni, rappresentano una sorta di categoria unitaria caratterizzata da identità di natura e funzione e dalla generale applicazione a ogni tipo di rapporto di lavoro dipendente e a ogni ipotesi di cessazione dello stesso. La legge ha in particolare ricondotto le indennità di fine rapporto versate nel settore pubblico al paradigma comune della retribuzione differita con contestuale funzione previdenziale, in via di assimilazione alle regole di cui all’art. 2120 del codice civile – relativo alla disciplina del TFR.

Detto processo di armonizzazione delle discipline rispecchia in qualche modo la finalità unitaria dei trattamenti di fine rapporto, che mirano ad accompagnare il lavoratore nella delicata fase dall’uscita dall’esperienza lavorativa. Attenzione però a quanto segue: indica la Corte che il TFS, tuttora previsto per alcune categorie di lavoratori del settore pubblico, e il TFR che rappresenta l’istituto di applicazione generale per i lavoratori privati (e, in prospettiva, per gli stessi lavoratori del settore pubblico), non sono tra di loro comparabili sul piano della disciplina, la quale regolamenta le modalità di calcolo e di versamento dei relativi assegni.

Anzi la disciplina del TFS, caratterizzata anche da concrete differenze rispetto a quella del TFR, è stata dal legislatore prevista e tuttora conservata, sulla scorta della peculiarità del settore lavoristico cui fa riferimento. Ciò vale soprattutto se pensiamo alla non ancora totale armonizzazione con la disciplina generale del settore privato, cui sopra facevamo riferimento.

Conclusioni

In base a quanto indicato dalla Consulta, è allora compito del legislatore inserire la previsione di discipline di fatto differenziate delle singole figure di indennità di fine rapporto, tenuto conto del complessivo contesto nel quale esse si inseriscono e tenuto conto dello stato dell’evoluzione normativa che mira comunque ad armonizzarle. Ovvero questo vale considerata la loro inclusione in una comune matrice unitaria, di ambito previdenziale. Ecco perché le questioni di legittimità costituzionale sono state ritenute non fondate.

Perciò TFR e TFS non sono tra di loro comparabili quanto alla disciplina che, negli aspetti di dettaglio, stabilisce le modalità di calcolo e di versamento dei collegati assegni.

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