Pensioni più alte a questi lavoratori: da oggi possono festeggiare

Pensioni più alte a questi lavoratori, lo dice una sentenza della Consulta. Ecco i motivi e chi può festeggiare.

La Consulta si è negli ultimi giorni pronunciata circa le pensioni marittimi e uno specifico caso, che produrrebbe un danno alla rendita previdenziale. Una significativa sentenza della Corte Costituzionale è stata emessa recentemente ed ha a che fare con la pensione marittimi e il peggioramento del trattamento previdenziale.

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In buona sostanza, secondo la Consulta sono da ritenersi incostituzionali le regole sul pensionamento dei lavoratori marittimi che non permettono di calcolare detta pensione escludendo dal calcolo stesso il prolungamento contributivo, nello specifico caso in cui il calcolo in oggetto – con l’esclusione – porti a un risultato migliore per l’interessato.

Di riferimento è infatti la sentenza n. 224 dello scorso 7 novembre e di seguito intendiamo vedere più da vicino perché questo provvedimento merita considerazione. Perché è di indubbio rilievo in tema di pensioni marittimi? I dettagli.

Pensioni marittimi: quali norme sono state contestate?

Il prolungamento deve essere escluso dal calcolo ai fini pensionistici se rende meno sostanzioso il trattamento pensionistico dei lavoratori marittimi. Come accennato in apertura, la Corte Costituzionale si è pronunciata nel giudizio di legittimità costituzionale per quanto attiene all’applicazione dell’art. 3, ottavo comma, della legge n. 297 del 1982, recante norme in materia di trattamento di fine rapporto e delle norme in combinato disposto con l’art. 24 della legge n. 413 del 1984, relative all’assetto pensionistico dei lavoratori marittimi.

A ricorrere alla Consulta, onde avere una pronuncia su questi delicati temi, è stato il Tribunale ordinario di Cassino, in veste di giudice del lavoro. Più nel dettaglio, le regole in oggetto erano state censurate per quella parte in cui:

  • non permettono che la pensione di vecchiaia assegnata ai lavoratori marittimi sia individuata escludendo dal computo, ad ogni effetto, il prolungamento contributivo previsto dall’art. 24 della legge n. 413 del 1984 in tema di pensioni lavoratori marittimi;
  • e ciò laddove l’assicurato abbia comunque conseguito i requisiti per vedersi assegnato il trattamento pensionistico e il calcolo conduca ad un risultato migliore.

In particolare il contrasto delle norme era stato indicato rispetto agli artt. 3, 36 e 38, secondo comma, della Costituzione. Proprio per questo la Consulta è stata investita della questione con il giudizio di legittimità costituzionale.

La Corte Costituzionale ha accolto la tesi di chi ha richiesto il suo pronunciamento

La questione di legittimità costituzionale si è risolta in senso favorevole alla tesi delineata dal Tribunale di Cassino. Infatti, il combinato disposto delle disposizioni sopra citate  comporterebbe un effetto sfavorevole per il lavoratore.

E appunto la sentenza della Corte non è andata contro questa tesi. La questione di legittimità è stata così giudicata fondata da questo giudice. Ed anzi non vi sono dubbi a riguardo: laddove la contribuzione aggiuntiva implichi tecnicamente un impoverimento delle pensioni marittimi, questa deve essere esclusa dal computo della base pensionabile. E ciò deve avvenire al di là della natura dei contributi, i quali potranno essere obbligatori, volontari o figurativi.

La linea indicata dalla Corte Costituzionale è perciò molto netta. Ed anzi è irragionevole ed in contrasto con l’art. 3 Costituzione che le norme oggetto di giudizio di legittimità costituzionale, pur mirate a supplire ad uno svantaggio, rappresentino in realtà un danno per le pensioni marittimi. Queste ultime infatti risulterebbero più basse, rispetto all’entità del trattamento senza il prolungamento compreso nel calcolo.

Alcune ulteriori precisazioni: le norme violate

In termini tecnici, il combinato disposto delle regole sopra citate è in aperto contrasto con  gli artt. 36 e 38, secondo comma, del testo della Costituzione. Quanto basta a dichiarare incostituzionali le norme contestate: queste infatti non rispetterebbero la giusta proporzione tra attività di lavoro prestato, collegata retribuzione, e calcolo della prestazione pensionistica.

Un meccanismo che in qualche modo sarebbe ‘distorto’ a danno delle pensioni marittimi e a cui, come sopra ricordato, la Consulta ha dato una risposta molto chiara. Questo anche in considerazione del fatto che il prolungamento contributivo può essere talvolta utile a superare la difficoltà di conseguire il minimo contributivo per l’accesso al trattamento pensionistico.

Conclusioni

Alla luce di quanto visto non sorprende dunque la sentenza n. 224 dello scorso 7 novembre, con la quale si ha di fatto la declaratoria di illegittimità costituzionale delle regole oggetto di contestazione, nella parte in cui dette norme non permettono la neutralizzazione del prolungamento contributivo – di cui all’art. 24 della stessa legge n. 413 del 1984 relativa all’assetto pensionistico dei lavoratori marittimi. Detta neutralizzazione ovviamente si riferisce al calcolo della pensione di vecchiaia versata ai lavoratori marittimi, che abbiano conseguito il diritto a pensione – laddove il citato prolungamento comporti un risultato sfavorevole nel calcolo dell’importo delle pensioni spettanti agli assicurati.

In altre parole, i cd. prolungamenti contributivi fissati dall’articolo 24 della legge n. 413/1984 sulla previdenza marinara possono e debbono essere esclusi, se abbattono la rendita previdenziale. Detta neutralizzazione delle contribuzioni non necessarie ai fini dell’acquisizione del diritto a pensione vale non soltanto laddove l’assicurato abbia conseguito il massimo dei servizi utili a pensione (vale a dire i 42 anni e 10 mesi di contributi), ma anche nel caso in cui abbia toccato i 20 anni di anzianità contributiva utili per l’assegnazione della pensione di vecchiaia.

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