Pensione con 15 anni di contributi: una fantastica occasione riservata solo a pochi

La Cassazione ha chiarito quando si può andare in pensione con 15 anni di contributi. A chi spetta questa opportunità?

Oltre alla pensione di vecchiaia, i lavoratori hanno a disposizione strumenti che consentono di smettere di lavorare in anticipo.

pensione 15 anni
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La pensione con 15 anni di contributi (anziché 20) è riservata a coloro che rientrano nel sistema retributivo o misto; solo a chi, cioè, ha cominciato a lavorare e a pagare i contributi prima del 1996.

La possibilità di smettere di lavorare alla maturazione di 15 anni di contribuzione è stata prevista dalla Legge Amato. Tale norma, infatti, stabilisce 3 tipi di deroghe che, però, non si applicano ai cd. contributivi puri. Per esempio, è stabilita la facoltà del pensionamento con 15 anni di contributi per chi possiede un’anzianità assicurativa di 25 anni, ma è necessario avere versamenti precedenti al 1996.

A restringere la categoria dei possibili beneficiari di tale misura è stata anche la Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 26320 del 7 settembre 2022. Analizziamo, dunque, il provvedimento della Suprema Corte.

Per ulteriori informazioni, consulta il seguente articolo: “In pensione con 15 anni di contributi: sembra utopia ma è realtà“.

Pensione con 15 anni di contributi: la decisione della Cassazione

Non tutti i lavoratori possono andare in pensione alla maturazione dei 15 anni di contribuzione. Oltre ai contributivi puri, infatti, sono esclusi anche coloro che hanno lavorato in maniera continua, ma in un anno di lavoro, hanno versato meno di 52 settimane contributive.

Tale posizione, già affermata dall’INPS, è stata ribadita dalla Corte di Cassazione, con la recente Ordinanza n. 26320 dello scorso 7 settembre.

Era stato presentato ricorso contro il rigetto, da parte dell’Ente previdenziale, della domanda di pensione di vecchiaia di una lavoratrice che, per vario tempo, aveva stipulato contratti di lavoro domestico. Gli Ermellini, infine, hanno confermato tale decisione.

La Suprema Corte ha, quindi, sottolineato che l’accesso alla pensione con 15 anni di contributi (invece dei normali 20) è vietato a chi ha lavorato senza sosta, a prescindere dalla retribuzione percepita.

In particolare, la lavoratrice del caso sottoposto alla Corte aveva richiesto l’applicazione della terza deroga Amato. Tale deroga prevede la possibilità di smettere di lavorare a 67 anni con 15 anni di versamenti a coloro che possiedono tali requisiti:

  • hanno un’anzianità contributiva (dunque, almeno un contributo versato) entro il 31 dicembre 1995;
  • possiedono almeno 25 anni di contributi. Tale requisito è automatico, se l’attività lavorativa è iniziata prima del 1996;
  • sono stati occupati per almeno 10 anni per lassi di tempo inferiori alle 52 settimane annue.

Per sapere come smettere di lavorare in anticipo, consulta anche il seguente articolo: “Pensione con 10 anni di contributi: gli strumenti a disposizione sono vari e bisogna approfittarne“.

L’orientamento della Corte

La richiedente possedeva 790 settimane contributive (poco più di 15 anni), che non bastavano per la pensione di vecchiaia a 67 anni, per la quale, invece, sono necessarie 1.040 settimane contributive (cioè 20 anni). Poiché, inoltre, aveva dei contributi antecedente al 31 dicembre 1995, non rientrava nella categoria dei contributivi puri. Per questa ragione, era esclusa dal sistema di pensionamento a 71 anni di età e 5 di contribuzione.

Le strade percorribili, quindi, erano 2:

  1. rinunciare alla pensione anticipata e perdere gli anni di contributi versati;
  2. ricorrere a quanto previsto dall’articolo 2, comma 3, lett. b) D.lgs. 503/1992.

Alla fine, la lavoratrice ha scelto la seconda opzione, ma l’INPS ha respinto la sua domanda. Perché? L’Istituto di previdenza ha sostenuto vi fosse la mancanza del terzo requisito, ossia l’essere stati occupati per almeno 10 anni, per lassi di tempo inferiori alle 52 settimane annue. In pratica, sono necessari 10 anni non interamente lavorati.

Nell’ipotesi specifica esaminata, la lavoratrice aveva sempre lavorato con contratto a tempo indeterminato e, dunque, senza vuoti contributivi. Al riguardo, alcuna importanza ha il fatto che le settimane lavorative riconosciute per ogni anno erano inferiori a 52, a causa di una retribuzione al di sotto di quella minima. Quello che conta, infatti, è solo il tempo in cui è stata svolta attività lavorativa.

La Corte di Cassazione ha seguito tale ragionamento e ha dichiarato la legittimità della decisione dell’INPS. Per i Giudici, infatti, la terza deroga di Amato non trova applicazione nelle ipotesi in cui un soggetto ha lavorato ininterrottamente, ma con retribuzioni non elevate (come avviene, ad esempio, per i lavoratori part-time).

Pensione con 15 anni di contributi: cosa succede a chi ha uno stipendio basso?

Ci sono anche altre precedenti sentenze che hanno accolto l’orientamento appena illustrato. Per la giurisprudenza, quindi, l’INPS fa bene a respingere le richieste di accesso alla pensione con 15 anni di contributi a chi ha lavorato ininterrottamente ma con uno stipendio basso. In tal caso, infatti, non si raggiungono le 52 settimane di contribuzione annuale.

Lo scopo della Legge Amato, inoltre, è tutelare solo i lavoratori che non prestano attività lavorativa per tutto l’anno solare; al contrario, non può essere applicata nei confronti di quelli che lavorano con costanza ma hanno una contribuzione minima perché percepiscono una stipendio non elevato. La deroga della Legge Amato, come sottolineato dai giudici, si riferisce soprattutto ai lavoratori del settore dell’agricoltura o quelli stagionali, che non sono impegnati tutto l’anno.

Nessun tipo di tutela per coloro che lavorano con continuità ma, per esempio, con un contratto part-time e, dunque, non maturano il requisito contributivo minimo. In tale situazione si trovano i lavoratori che hanno, per anni, un contratto di lavoro domestico. Se, infatti, non ci sono almeno 10 anni di anzianità contributiva non completamente lavorati, non si può andare in pensione con 15 anni di contributi. In queste ipotesi, la deroga Amato non opera.

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