Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha stabilito quando spetta l’indennità di accompagnamento.
L’indennità di accompagnamento è una misura fondamentale per tantissime persone affette da disabilità e non autosufficienti. Finora, però, un’interpretazione troppo restrittiva della normativa ha impedito il riconoscimento della prestazione a tantissimi soggetti.

Ai sensi dell’art. 1 della Legge n. 18/1980, infatti, per ottenere l’indennità di accompagnamento è necessaria l’impossibilità di deambulare senza il supporto di un accompagnatore. Di conseguenza, spesso le Commissioni Mediche e i giudici hanno rigettato le istanze dei richiedenti ritenendo che la sola necessità di supervisione, anche se continuativa, senza l’esigenza di essere fisicamente sorretti non fosse sufficiente. In pratica, il pericolo di una caduta (con relative conseguenze nefaste) non era una limitazione idonea per l’accompagnamento. Di recente, però, tale impostazione ha conosciuto un’importante revisione, grazie al lavoro della Corte di Cassazione.
Indennità di accompagnamento: l’importanza del principio della “supervisione continua”
Con la sentenza n. 28212 del 24 ottobre 2025, la Corte di Cassazione ha introdotto un principio fondamentale in tema di riconoscimento dell’indennità di accompagnamento, che finalmente tutela tutti i soggetti che necessitano di una “supervisione continua“. Quest’ultima, infatti, equivale all’impossibilità di camminare da soli.

Il caso esaminato riguarda gli eredi di un disabile a cui il Tribunale di Macerata, in sede di rinvio, aveva negato l’accompagnamento. Il defunto era affetto dalla seguente condizione: “deambulazione con appoggio e supervisione continua“. Per i giudici, si trattava di una patologia non grave e, dunque, non sufficiente per il riconoscimento della prestazione economica.
La Sezione Lavoro della Cassazione ha respinto tale interpretazione. Il certificato medico, infatti, specificava che il richiedente era costretto a camminare a piccoli passi, doveva fare i conti con un elevato rischio di cadute e necessitava di una supervisione nello svolgimento di tutte le attività quotidiane che prevedevano spostamenti. Per i giudici di legittimità, la “necessità di aiuto” e la “supervisione continua” esprimono lo stesso concetto e, quindi, chi non può essere lasciato solo perché a rischio cadute non può essere considerato autonomo. Di conseguenza, al richiedente spettava l’indennità di accompagnamento.
Ma la sentenza pone l’accento anche su un altro aspetto importante: l’autonomia funzionale residuale a volte viene presa in considerazione per capire se il disabile è in grado di compiere da solo alcune attività quotidiane. Per la Cassazione, questo accertamento non ha senso, perché il compimento degli atti quotidiani è un criterio alternativo alla capacità di camminare da soli e non si aggiunge a quest’ultimo. In conclusione, chi deve essere costantemente supervisionato ha diritto all’assegno.





