La riforma pensioni nasconde un dettaglio che potrebbe cambiare i piani di milioni di lavoratori italiani.
Milioni di lavoratori italiani stanno pianificando il proprio futuro previdenziale con la speranza di poter accedere alla pensione anticipata prima del compimento dei 67 anni.

Le recenti discussioni sulla riforma delle pensioni hanno alimentato aspettative e speranze, con particolare attenzione alla possibilità di uscire dal mondo del lavoro a 64 anni. Tuttavia, dietro le promesse e gli annunci si nasconde una realtà che potrebbe sconvolgere i piani di chi conta di lasciare il lavoro nei prossimi anni.
L’evoluzione del sistema previdenziale italiano sta seguendo una traiettoria che molti non hanno ancora pienamente compreso. Mentre il dibattito pubblico si concentra sulle età di uscita e sulle varie formule proposte, un elemento cruciale rimane in secondo piano, pronto a emergere come un ostacolo insormontabile per la maggioranza dei lavoratori. I dati più recenti rivelano infatti che qualcosa di significativo sta cambiando nel meccanismo di accesso alla pensione, qualcosa che potrebbe rendere vane le speranze di chi sogna un ritiro anticipato dal lavoro.
L’importo soglia: il requisito nascosto che blocca la pensione a 64 anni
Il vero ostacolo alla pensione a 64 anni non è l’età anagrafica o gli anni di contributi, ma un parametro economico chiamato “importo soglia”. Si tratta dell’ammontare minimo mensile che la pensione deve raggiungere per poter accedere al pensionamento anticipato. Secondo i calcoli della CGIL, questo importo nel 2025 è pari a 1.616,07 euro mensili, con un aumento di oltre 300 euro rispetto a soli tre anni fa.
Ma il dato più allarmante riguarda il futuro: entro il 2030, questa soglia raggiungerà i 1.811,78 euro mensili, rendendo di fatto irraggiungibile l’obiettivo per chi ha carriere discontinue o salari medio-bassi. Per raggiungere tale importo, sarebbe necessario un montante contributivo aggiuntivo di oltre 128.000 euro, una cifra impossibile da accumulare per la stragrande maggioranza dei lavoratori italiani.
La segretaria confederale della CGIL, Lara Ghiglione, ha evidenziato come il problema non sia tanto l’età di uscita, quanto la precarietà del mercato del lavoro e i salari inadeguati. Con retribuzioni medie o basse, la soglia richiesta non è raggiungibile nemmeno dopo 40 anni di contributi versati regolarmente. Questo significa che anche chi ha iniziato a lavorare giovanissimo e ha versato contributi per quattro decenni potrebbe trovarsi impossibilitato ad accedere alla pensione anticipata.
La proposta governativa di utilizzare il TFR per incrementare il montante contributivo, inserita nella bozza di riforma per la Manovra 2026, non sembra risolvere il problema. Anche destinando l’intero trattamento di fine rapporto al sistema previdenziale, per molti lavoratori l’importo soglia rimarrà un miraggio irraggiungibile. La riforma pensioni in discussione, quindi, rischia di creare una generazione di lavoratori “intrappolati” nel sistema fino al raggiungimento dei 67 anni, età prevista per la pensione di vecchiaia ordinaria.