Il lavoratore invalido si può licenziare: incredibile la risposta

I diritti dei lavoratori dipendenti sono sanciti dai contratti collettivi, ma occhio al computo nel periodo di comporto delle assenze del lavoratore disabile correlate all’invalidità. Cosa rischia l’azienda o il datore di lavoro? Gli ultimi chiarimenti del tribunale di Parma.

Come non pochi lavoratori già sapranno, il periodo di comporto consiste in un periodo di tempo nel quale il lavoratore dipendente assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto. È un diritto del lavoratore di cui si trova traccia nei vari Ccnl.

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In altre parole, in linea generale il lavoratore assente per malattia non può essere licenziato finché non oltrepassa un numero massimo di giorni di assenza, previsto dal contratto collettivo di settore. Soltanto in quest’ultimo caso infatti le ragioni organizzative e della produzione possono essere ritenute prevalenti sul diritto del lavoratore a continuare a lavorare nello stesso posto.

D’altronde non dobbiamo dimenticare che la malattia consiste in uno di quegli eventi che permette al lavoratore di assentarsi dal lavoro senza rischiare una contestazione disciplinare. Recentemente un caso della giurisprudenza ha affrontato nuovamente questi temi, affermando che è nullo il licenziamento se sono computate nel periodo di comporto le assenze dal luogo di lavoro, connesse all’invalidità. Ecco allora lo spunto per considerare di nuovo detti delicati argomenti, alla luce di una evidenziata discriminazione indiretta ai danni del lavoratore assente. I dettagli.

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Licenziamento e periodo di comporto: il rischio della discriminazione indiretta ai danni del lavoratore invalido

Una recente sentenza della giurisprudenza di merito ha affrontato il delicato argomento del computo nel periodo di comporto di quelle particolari assenze per malattia da parte dei lavoratori invalidi, sottolineando la presenza di una discriminazione indiretta ricorrendo determinate condizioni. A ciò secondo il tribunale consegue la nullità del licenziamento del lavoratore e il diritto al reintegro.

Il riferimento va alla sentenza n. 1 del 2023 emessa dal tribunale di Parma alcuni giorni fa, la quale ha dichiarato nullo il recesso unilaterale nei confronti di una lavoratrice assunta sulla base della legge. 68 del 1999 (ovvero la legge recante norme di tutela del diritto al lavoro dei disabili), le cui assenza dal posto di lavoro a causa della malattia erano calcolate dall’azienda nell’ambito del periodo di comporto, nonostante che queste stesse assenze fossero invece connesse al suo stato di invalidità.

Si tratta di una pronuncia molto importante perché con quest’ultima il tribunale ha oltrepassato il precedente orientamento sul punto, e ci riferiamo ad un provvedimento del 2018, ovvero un’ordinanza dell’epoca con contenuti diametralmente opposti.

Invece nella sentenza dello scorso 9 gennaio il tribunale di Parma, cogliendo l’occasione per richiamare alcune anteriori sentenze del tribunale di Milano, ha chiarito che immettere le assenze per malattia – emerse come collegate allo stato di disabilità – nell’arco di tempo del cosiddetto periodo di comporto rappresenta una vera e propria discriminazione indiretta ai danni del lavoratore. Ciò sulla scorta delle regole comunitarie e nazionali. Ma non solo, in quanto il fatto in sé rappresenta anche violazione del principio di uguaglianza di cui si trova traccia nella nostra Costituzione.

La specificità della situazione del lavoratore invalido deve avere per l’azienda rilievo primario

Le conclusioni del citato tribunale sono degne di nota perché nel testo della sentenza si fa notare che, in ipotesi di malattia, equiparando il dipendente invalido al lavoratore non invalido, non si considerano adeguatamente le specificità collegate allo stato di svantaggio e di handicap del primo lavoratore rispetto al secondo.

Queste specificità integrano una situazione di fragilità, e dunque non soltanto un maggior rischio di fare assenze e non presentarsi al lavoro a causa della malattia –  e ciò per periodi di tempo maggiori rispetto a quelli di un lavoratore non invalido – ma anche una maggior probabilità di assentarsi dal lavoro al fine di svolgere cure ad hoc per il proprio stato di salute.

In buona sostanza, una contrattazione collettiva che indichi un periodo di comporto uguale ai lavoratori non invalidi, senza fare alcuna opportuna distinzione tra categorie, implica una situazione di svantaggio oggettivo e di discriminazione indiretta, per chi è stato assunto grazie alle regole di cui alla legge n. 68 del 1999.

Comunque, la giurisprudenza appare oggi solida anche nell’affermare che non sempre la malattia dei lavoratori invalidi deve essere tenuta ‘distinta’ rispetto allo stato di malattia dei lavoratori non disabili. E questo perché vi sono alcuni casi di invalidità, ad es. la sordità, che non per forza comportano anche un maggior rischio di ammalarsi e, perciò, di essere assenti dal lavoro per malattia. D’altra parte ci sono poi i lavoratori non invalidi, che possono essere soggetti ad assenze a causa di malattia, in molti più casi rispetto ai lavoratori invalidi. Pensiamo ad es. a chi deve svolgere terapie ad hoc per problemi oncologici.

Conclusioni

Alla luce di quanto abbiamo visto finora, ciò che è rilevante per inquadrare una eventuale discriminazione indiretta in ipotesi di computo nel periodo di comporto delle assenze per malattia dei lavoratori invalidi, è la specifica tipologia di malattia patita dal singolo dipendente.

In buona sostanza se vi è un rapporto stretto tra malattia e invalidità e se, perciò, il lavoratore disabile è stato assente dall’ufficio per una malattia causata dal suo stato di invalidità – e detta mancanza dal posto di lavoro è stata appunto immessa nel calcolo del comporto – secondo i giudici non vi sono dubbi nell’inquadrare una discriminazione indiretta. Con la conseguenza che il licenziamento deve ritenersi nullo.

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