Il Teflon delle pentole antiaderenti è sicuro? Uno studio ci rivela la sconcertante verità

Lo abbiamo praticamente tutti in casa, ma il Teflon delle pentole antiaderenti è sicuro oppure no? Ecco cosa è emerso da un nuovo studio.

Le pentole e padelle antiaderenti hanno davvero fatto la differenza in cucina, e la fanno tutt’ora. Ma i materiali che le compongono sono davvero sicuri? Un recente studio ribalta tutte le nostre sicurezze.

Teflon delle pentole antiaderenti
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Sul Teflon, fin dalla sua scoperta avvenuta nel lontano 1938, non sono mancate diverse scuole di pensiero e anche polemiche. Si tratta di uno dei materiali più scivolosi esistenti al mondo, ed è per questo che viene usato come rivestimento per le pentole. Questo accade dal 1954, perché in precedenza il Teflon veniva usato in altri prodotti, come ad esempio le canne da pesca. L’autorizzazione al suo impiego su dispositivi a contatto diretto con gli alimenti arriva dalla FDA solamente negli anni ’60.

Oggi il Teflon è largamente utilizzato, e le sue performance sono note a tutti. In una pentola rivestita di questo materiale possiamo cucinare qualsiasi cibo senza il timore che si attacchi sul fondo, bruciando inesorabilmente. Pensiamo che sia sicuro, naturalmente sapendo che dobbiamo adottare alcune accortezze. Come ad esempio evitare di graffiare il rivestimento oppure scaldare troppo la padella, o ancora metterla sul fuoco senza il cibo.

Il Teflon resiste bene, infatti, fino ad una temperatura di 200 gradi, temperatura che difficilmente raggiungiamo con i normali fornelli a gas. Ma un nuovo studio ci rivela che forse esistono altri pericoli potenziali nell’uso di pentole rivestite con questo materiale.

Il Teflon delle pentole antiaderenti è sicuro? Uno studio ci rivela la sconcertante verità

Alcuni scienziati dell’Università del New Castle e dell’Università Flinders hanno usato delle tecnologie innovative per analizzare in maniera profonda cosa accade alle nostre pentole antiaderenti durante l’uso. Il loro studio è pubblicato sul sito della Flinder University. E ha come titolo “Teflon non così resistente”. Ecco cosa ha scoperto il team di esperti.

Anche prestando attenzione, le pentole vanno incontro a usura, data anche dalle operazioni di pulizia. Lo staff è riuscito a misurare, grazie a sofisticate tecniche “come milioni di minuscole particelle di plastica si staccano potenzialmente durante la cottura e durante il lavaggio mentre pentole e padelle antiaderenti perdono gradualmente il loro rivestimento“.

E se pensiamo che basti solamente prendersi cura delle nostre pentole, forse ci sbagliamo. Infatti, i ricercatori hanno affermato quanto segue.

solo una crepa superficiale su una padella rivestita di teflon può rilasciare circa 9100 particelle di plastica

Da ciò si evince che dunque il Teflon può rappresentare un pericolo per la salute. Come sappiamo, il fenomeno delle microplastiche è tutt’altro che da sottovalutare. Si stima che ogni persona, ogni settimana, arrivi a ingerire una quantità di plastica equivalente ad una carta di credito. In una vita media, arriviamo a ingerire l’equivalente di due bidoni dei rifiuti. Un qualcosa di pazzesco difficile anche da immaginare.

Gli stessi studiosi che hanno pubblicato i risultati delle loro analisi, ci ricordano quanto segue. “Il materiale di rivestimento antiaderente Teflon è generalmente un membro della famiglia di PFAS.“.

I danni da contaminazione da PFAS, come sappiamo, possono essere anche ingenti e andare a colpire il fegato nonché le funzioni endocrine dei soggetti esposti. Sono purtroppo numerosi, infatti, gli studi che dimostrano una correlazione tra PFAS e gravi malattie, come abbiamo riportato in un nostro articolo approfondito a riguardo.

Dalle microplastiche alle nanoparticelle

Secondo molti studi, comunque, l’ingestione di plastiche solitamente non porta a problemi immediati e/o gravi. Il nostro corpo riesce in qualche modo ad espellerle. Però gli stessi esperti avvisano che siamo di fronte ad uno scenario che potrebbe diventare ancora più nocivo. Le microplastiche, infatti, com’è noto non si disintegrano ma diventano sempre più piccole, fino a diventare nanoparticelle.

Nel tempo, le microplastiche presenti nell’acqua, nell’ambiente, nell’aria e negli animali di cui ci cibiamo (e ora anche nelle pentole) dai millimetri passano ai nanometri, e dunque entriamo nel campo delle nanoparticelle. Qui il discorso cambia, perché queste nanoparticelle possono essere assorbite dal nostro sistema digerente, finire nella circolazione sanguigna e nel sistema linfatico. Le conseguenze di eventualità del genere, attualmente, non possiamo neanche immaginarle. Ma di sicuro non portano a niente di buono.

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