Nel dibattito sulla Legge di Bilancio 2026 torna al centro la possibilità di ripristinare Opzione Donna, una misura di anticipo pensionistico che negli ultimi anni aveva visto restringere drasticamente il proprio raggio d’azione.
Le proposte presentate in Parlamento puntano a riaprirla, ampliarla e renderla accessibile a una platea più ampia di lavoratrici, riportandola a essere una reale alternativa al pensionamento ordinario. Nei prossimi giorni si capirà se la riforma verrà approvata, ma gli emendamenti già depositati delineano scenari molto chiari.

Il confronto politico, le risorse disponibili e l’impatto sugli equilibri della previdenza pubblica rendono il ritorno di Opzione Donna un tema fondamentale. Intanto il partito proponente, Fratelli d’Italia, prova a inserirla nella manovra intervenendo sia sui requisiti temporali sia sui criteri di accesso, mentre sullo sfondo riemerge anche l’ipotesi di una nuova Quota 103. Le novità proposte potrebbero incidere sulla vita lavorativa di moltissime donne, soprattutto di chi ha affrontato licenziamenti, mancati rinnovi o periodi di cura familiare. Per capire come funzionerebbe davvero la misura e quali scenari apre, occorre analizzare i due emendamenti oggi sul tavolo.
Opzione Donna 2026: cosa cambierebbe davvero con gli emendamenti
Il tentativo di riportare in vita Opzione Donna nasce dall’esigenza di superare l’attuale configurazione, rimasta valida solo per chi maturava i requisiti entro il 31 dicembre 2024. Oggi accede alla misura soltanto chi ha almeno 61 anni (con riduzione fino a due anni in base ai figli), 35 anni di contributi, una finestra mobile di dodici mesi per le dipendenti e diciotto per le autonome e, soprattutto, appartiene a categorie specifiche come caregiver, lavoratrici con invalidità pari ad almeno il 74% o coinvolte in crisi aziendali. Proprio questa selettività, unita al ricalcolo contributivo dell’assegno, aveva determinato un crollo delle richieste.

Il primo emendamento di Fratelli d’Italia interviene sul fattore temporale e sposta il limite per maturare i requisiti al 31 dicembre 2025. Questa modifica consentirebbe di rientrare nel perimetro della misura alle donne che compiono 61 anni nel corso del 2025, o 60/59 anni se hanno figli, oltre a chi raggiunge i 35 anni di contribuzione nello stesso periodo. Si tratterebbe di un’estensione semplice ma significativa, in grado di riaprire la misura a molte lavoratrici attualmente escluse.
Il secondo emendamento riguarda le lavoratrici che rientrano nella misura. L’intenzione è eliminare il vincolo legato ai tavoli di crisi, elemento che negli ultimi anni ha ristretto enormemente l’accesso. Con la modifica rientrerebbero le donne disoccupate a seguito di licenziamento, anche collettivo, chi ha presentato dimissioni per giusta causa, chi ha firmato una risoluzione consensuale e chi non ha ottenuto un rinnovo del contratto a termine, a condizione di aver lavorato come dipendente almeno per diciotto mesi negli ultimi trentasei e aver concluso integralmente la prestazione di disoccupazione.
La proposta, se approvata, trasformerebbe Opzione Donna in un istituto molto più inclusivo rispetto alla versione attuale e ne aumenterebbe la funzione sociale, soprattutto in un periodo in cui molte lavoratrici affrontano instabilità contrattuale o percorsi professionali discontinui.





