Il Governo è al lavoro per impedire l’aumento dell’età pensionabile, ma potrebbero esserci delle novità sull’ammontare degli assegni.
Il tema delle pensioni infiamma il dibattito politico e tutti i lavoratori si chiedono quali saranno le misure che verranno inserite nella prossima Legge di Bilancio. Bisognerà, innanzitutto, trovare una soluzione per impedire l’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni e 3 mesi, in virtù dell’adeguamento biennale alle aspettative di vita stabilito dalla Legge Fornero e calcolato sui dati ISTAT e sulle previsioni della Ragioneria Generale del Tesoro.

Il Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha affermato che l’Esecutivo farà tutto il possibile per evitare l’adeguamento automatico e rinviarlo al 2029. La manovra, tuttavia, comporterebbe una spesa compresa tra 300 milioni e un miliardo di euro. Ma nell’ultimo rapporto sulle “Tendenze di medio e lungo periodo del sistema pensionistico e socio-sanitario“, la Ragioneria Generale dello Stato ha fatto luce su un altro problema, quello relativo agli importi delle pensioni. Cosa cambierebbe nel caso in cui il prossimo adeguamento non dovesse essere confermato? In alcuni casi le penalizzazioni potrebbero essere pesanti.
Cosa cambia per le pensioni dal 2027?
Eliminare definitivamente il sistema dell’adeguamento automatico dell’età pensionabile alle speranze di vita si tradurrebbe in un peggioramento in termini di importo degli assegni previdenziali. Secondo le stime della Ragioneria Generale dello Stato, le future pensioni potrebbero essere più basse dell’8,9%, per i lavoratori dipendenti e del 7,9%, per i lavoratori autonomi. Per quale motivo ci sarebbe tale riduzione? La ragione risiede nell’adeguamento dei coefficienti di trasformazione.

Si tratta dei parametri che tramutano gli anni di contributi accreditati durante l’intera vita lavorativa in assegno pensionistico. Anche i coefficienti vengono aggiornati ogni biennio, sulla base delle speranze di vita. Tale meccanismo è strettamente correlato all’aumento dell’età pensionabile e hanno effetti contrari. I coefficienti, infatti, riducono l’importo della pensione, mentre l’aumento dell’età lo fa crescere. Se si pone un freno a uno dei due sistemi, inevitabilmente ci saranno delle pensioni più povere. Sulla base dei calcoli della Ragioneria Generale dello Stato, impedire l’adeguamento dell’età determinerebbe un costo, fino al 2045, di 15 punti di PIL e, fino al 2070, tale somma raddoppierebbe.
La Ragione, infine, ha espresso perplessità sulla volontà, dichiarata dal Sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, si permettere la somma della previdenza complementare a quella ordinaria, perché verrebbe meno la funzione primaria della pensione integrativa. In conclusione, l’innalzamento dell’età pensionabile potrebbe slittare al 2029, ma un superamento definitivo di tale meccanismo, almeno al momento, sarebbe insostenibile per le finanze pubbliche.