Il Garante della Privacy ha sanzionato un medico di famiglia per il modo in cui rilasciava le ricette ai propri pazienti. Analizziamo la vicenda.
Anche il medico di famiglia che deve emettere le ricette per i pazienti è obbligato al rispetto della privacy e della riservatezza dei dati personali.
Le ricette, infatti, possono essere lasciate presso le farmacie o gli studi ma devono necessariamente essere contenute in busta chiusa. Chi non rispetta tale regola, è soggetto a pesanti sanzioni. Tale principio, inoltre, si applica anche alle ipotesi di diffusione di immagini e informazioni, a titolo divulgativo, dei pazienti da parte dei medici. Ma procediamo con ordine ed esaminiamo i casi sottoposti all’attenzione del Garante della Privacy.
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Il Garante della Privacy ha emesso due provvedimenti relativi alla modalità in cui venivano consegnate le ricette presso uno studio medico e alla diffusione di dati personali.
In seguito agli accertamenti dei NAS, a un medico di famiglia è stata irrogata una sanzione di 20 mila euro perché depositava le prescrizioni per i pazienti in una scatola situata sul muro esterno del proprio studio, senza inserirle in buste chiuse.
Di conseguenza, le prescrizioni dei farmaci e delle visite mediche potevano essere conosciute da chiunque e non solo dai diretti interessati.
Il Garante della Privacy ha specificato che i dati relativi alla salute possono diventare noti a terzi soltanto se è il paziente ad autorizzarlo, tramite delega scritta. Anche quando le ricette vengono lasciate presso la sala d’attesa dello studio medico o le farmacie per il ritiro, dunque, devono essere necessariamente poste in buste chiuse.
In caso contrario, si viola la privacy dei pazienti. Come si legge dal provvedimento del Garante, “la disciplina in materia di protezione dei dati personali vieta espressamente la diffusione di dati idonei a rivelare lo stato di salute degli interessati“.
Il secondo provvedimento, invece, riguarda il caso di un centro di medicina estetica che ha pubblicato, sul suo profilo social, il video di un intervento in cui, per più di 30 secondi, viene mostrato il volto di un paziente, senza che quest’ultimo abbia mai prestato il consenso alle riprese e alla divulgazione delle immagini.
L’Autorità a difesa della privacy ha sancito che la diffusione di immagini o informazioni relative a procedure mediche, anche se fatte a fini di divulgazione o scientifica, è assolutamente vietata se il paziente non è stato precedentemente informato e abbia dato il proprio specifico consenso. In alternativa, i dati possono essere diffusi solo in forma anonima e le immagini dei volti rese non riconoscibili.
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