I liberi professionisti con partita IVA possono detrarre le spese per i lavori edilizi. Ma la facoltà spetta solo a determinate condizioni.
Molti liberi professionisti e autonomi lavorano da casa, ma non sempre tale circostanza produce dei vantaggi.
Se, infatti, consente di gestire in maniera più flessibile il proprio tempo e di organizzare l’attività a seconda delle proprie esigenze, dall’altro lato presenta non poche problematiche.
Uno degli aspetti più controversi riguarda la facoltà di scaricare alcune spese per lo smart working, come quelle relative agli interventi edilizi necessari per rendere l’ambiente lavorativo idoneo. Al riguardo, purtroppo, la normativa non è molto chiara perché non aggiornata.
Attualmente, non tutti i costi per i lavori di ristrutturazione possono essere scaricati tramite la partita IVA come spesa professionale (magari per ricavare uno studio o un ambiente adatto allo svolgimento dell’attività).
Quali spese possono, dunque, scaricare i lavoratori a partita IVA in smart working? Si tratta di una questione abbastanza delicata, oggetto di discussione soprattutto in seguito alla riduzione della percentuale di detrazione ottenibile con il Superbonus.
Per i lavoratori che usano la propria casa come sede di lavoro è prevista la possibilità di ottenere la detrazione per gli interventi edilizi soltanto al 50%, a prescindere dalla circostanza che una parte dell’abitazione venga adibita come ufficio.
Questo perché si da per scontato che, dal punto di vista fiscale, tali immobili siano per metà ufficio e per metà abitazione.
Gli autonomi e i professionisti con partita IVA possono, quindi, scaricare al 50% le spese per i lavori di ristrutturazione.
Allo stesso modo, è possibile detrarre per metà le utenze domestiche, anche se si utilizza una sola parte della casa per lavorare.
La normativa vigente, tuttavia, impone un importante limite alla facoltà di scaricare i costi per i lavori in casa a titolo di spese professionali per lo smart working con partita IVA.
Chi, infatti, possiede uno studio professionale nello stesso Comune di residenza e, allo stesso tempo, è intenzionato a ricreare uno spazio in cui poter lavorare presso la propria abitazione, non può dedurre i costi dei relativi interventi, al solo scopo di avere un luogo da dedicare solo al lavoro.
La facoltà di scaricare le spese affrontate, dunque, vale soltanto nel caso in cui ci sia un uso promiscuo dell’abitazione e che non si possegga uno studio professionale nello stesso Comune. Vige, in tale ipotesi, il principio della cd. presunzione indiretta, in base al quale si ritiene che è possibile lavorare in un solo posto presso lo stesso Comune.
In conclusione, prima di chiedere un rimborso o di affrontare delle spese ingenti per restaurare un immobile per ricavare un luogo di lavoro, è necessario informarsi per bene sulla normativa vigente.
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