Superbonus e la cessione del credito “jolly”: come evitare banche e Poste Italiane

Approfondiremo l’articolo 121 del Decreto Rilancio inerente al Superbonus e alla cessione del credito a terze persone.

I crediti si possono cedere ad enti differenti da banche e Poste Italiane. Il DL prevede, infatti, una prima cessione libera. Scopriamo di più.

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La cessione del credito è un accordo contrattuale tramite il quale il diritto di credito di un soggetto – il cedente – si trasferisce ad un terzo acquirente – il cessionario – che lo compra ad un prezzo specifico. Poi procederà con la riscossione nei confronti del debitore – il ceduto. Questo meccanismo è diventato noto agli italiani soprattutto grazie ai Bonus edilizi, Superbonus in particolare. La “notorietà” è anche legata al fatto che molti dei problemi intrinsechi della misura riguardano proprio la cessione. Con riferimento al Superbonus 110% (90% nel 2023) ad essere ceduto è il credito di imposta ossia il credito verso lo Stato con cui è possibile compensare debiti o ridurre le imposte dovute. Cessione del credito e sconto in fattura sono gli strumenti introdotti proprio dal Decreto Rilancio che sono stati affiancati alla detrazione.

Ultimamente un nuovo Decreto del 16 febbraio ha bloccato tali strumenti – argomento approfondito in questo articolo. Rimane la possibilità per chi non può detrarre le spese nella dichiarazione dei redditi di cedere il credito d’imposta a terze persone diverse da banche ed enti finanziari come Poste Italiane. La prima cessione è, infatti, libera.

Superbonus e prima cessione del credito, cosa stabilisce il Decreto Rilancio

Essendo la prima cessione del Superbonus libera – una sorta di jolly – è possibile effettuarla nei confronti di chiunque e non solo di istituti di credito oppure Poste Italiane. Rimane indispensabile che la persona scelta per la cessione del credito abbia la capacità fiscale – importo delle imposte che il soggetto passivo versa allo Stato annualmente – di compensare il credito d’imposta comprato. Tale compensazione dovrà avvenire tramite il modello F24 di versamento delle imposte.

Solitamente la scelta del cedente cade su privati, imprenditori o professionisti, società commerciali, di servizi o industriali. Bisognerà presentare la documentazione (bonifici, computi metrici, fatture, asseverazioni, dichiarazione dei tecnici…) attestante il corretto svolgimento della procedura legata al Superbonus per permettere al cessionario di verificare la fattibilità dell’operazione. In questo modo si giungerà alla firma di un contratto tra le parti, un contratto regolatore degli aspetti giuridici.

Un aspetto riguarderà la responsabilità del cedente nel caso in cui controlli successivi valuteranno il credito pignorabile e non utilizzabile.

Ecco alcuni esempi esplicativi

Il primo esempio ha come protagonista il signor Rossi, proprietario di immobili locati e sfitti. Annualmente corrisponde allo Stato l’IMU, l’imposta di registro, l’IRPEF sulla locazione e la TARI sulle case sfitte. Ipotizziamo, poi, che il signor Rossi abbia anche redditi di partecipazione in società oppure redditi da lavoro autonomo oppure occasione.

L’esempio quantifica il pagamento annuo in 40 mila euro corrisposto tramite F24. Significa che potrebbe acquistare un credito di imposta derivante da Bonus edilizi per un massimo di 160 mila euro – 40 mila x 4 anni. Rossi può proporre al cedente di acquistare crediti per 160 mila euro e di effettuare un rimborso, ad esempio, di 100 mila euro. Quale sarà il costo sostenuto dal cedente?

Occorrerà dividere 160 mila per 1,1 ottenendo 145,454 euro e detrarre da 160 mila i 145,454 euro. Il risultato 14.546 euro rappresenta la somma a cui il cedente rinuncia con riferimento al credito concesso dalla Stato. Contemporaneamente paga per la transazione 5.452 euro. Rossi, dunque, rientrerà nelle spese di 100 mila euro rimettendoci 5.452 euro.

Secondo esempio sulla cessione dei crediti del Superbonus

Un secondo esempio ha come protagonista l’imprenditore Bianchi, titolare di un negozio alimentare in un quartiere molto frequentato. Fattura somme elevate e ha cinque dipendenti che lavorano per lui. Mensilmente paga le imposte per questi dipendenti, l’IVA, i contributi mentre a luglio e novembre paga l’IRPEF e altre imposte sul reddito. Ipotizziamo un debito fiscale di 140 mila euro all’anno da versare con modello F24.

L’acquisto dei crediti potrebbe essere di massimo 560.000 euro (140 mila x 4 anni). Utilizzando il costo di transizione del primo esempio – il 16% circa – l’imprenditore Bianchi potrebbe risparmiare tale percentuale sulle imposte (circa 93 mila euro).

Cosa succede se mancasse la capienza fiscale

In caso di mancanza di capienza fiscale si perderebbe il credito d’imposta. Questo perché la differenza riscontrata non si potrebbe chiedere a rimborso così come non si potrebbe portare a credito l’anno seguente. Significa che la terza persona non acquisterà crediti d’imposta se dovesse avere anche un piccolo dubbio sulla sua tassazione futura (per minimo i quattro anni successivi all’eventuale acquisto).

Sicuramente scegliendo una terza persona con capienza adeguata la strada sarebbe più vantaggiosa rispetto alla cessione agli istituti di credito. La burocrazia sarebbe più snella data l’assenza del controllo preventivo degli Advisor delle banche. Controllo puntiglioso che spesso blocca le pratiche per un nulla. Una firma dimenticata, una visura storica scaduta da una settimana, il numero della fattura non riportato nel bonifico parlante sono motivazioni inaccettabili per gli Advisor che non hanno la ben che minima flessibilità e nessuna fiducia nell’onestà del committente.

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