È possibile continuare a lavorare anche se si è in pensione? Non sempre, solo se si rispettano tali regole.
Dal 2009, la legge italiana stabilisce che i lavoratori dipendenti hanno la facoltà di ricominciare a lavorare dopo l’accesso alla pensione.
In alcuni casi, purtroppo, la rata mensile erogata dall’INPS non è, da sola, sufficiente. Di conseguenza, i pensionati devono rimettersi in gioco per integrare l’importo della pensione.
Attenzione, però, perché per avere diritto alla prima rata dell’assegno pensionistico è, comunque, obbligatorio licenziarsi. Successivamente, è consentito prestare nuovamente attività lavorativa.
Cerchiamo, quindi, di fare chiarezza su questo tema e scopriamo cosa stabilisce la disciplina normativa.
Non perdere il seguente articolo: “Chi percepisce la pensione per lavoratori precoci può lavorare? La risposta è sorprendente“.
È bene precisare subito che, lo svolgimento di un’attività lavorativa da pensionati comporta, inevitabilmente, il cumulo dei redditi da lavoro con quelli da pensione.
Per tale motivo, è opportuno ponderare per bene la propria scelta, perché si potrebbe anche finire in uno scaglione fiscale superiore. Non sempre, dunque, lavorare anche dopo che si è andati in pensione è vantaggioso.
La ripresa dell’attività lavorativa, infatti, è accompagnata dall’obbligo di versare i contributi INPS. Questi ultimi fanno aumentare l’importo della pensione spettante.
In linea generale, dopo 5 anni dalla decorrenza della pensione (oppure 2 anni, nel caso in cui sia stata superata l’età pensionabile) si può chiedere l’aumento della rata mensile della prestazione, in virtù dei contributi aggiuntivi versati in questo lasso di tempo.
Questa regola, tuttavia, riguarda solo i lavoratori dipendenti. Per gli autonomi e i parasubordinati, invece, non sussiste l’obbligo di lasciare il lavoro per poter accedere all’assegno pensionistico.
Leggi anche: “In pensione è possibile lavorare anche se in Quota 100 o 102: requisiti e limite da rispettare“.
Quanto appena specificato non si applica nei confronti di coloro che hanno usufruito della pensione anticipata a, tramite Quota 100, Quota 102 o Quota 41, almeno fino alla maturazione dell’età per la pensione di vecchiaia (o di anzianità contributiva). Nel mentre, la legge consente lo svolgimento solo di prestazioni occasionali, fino ad un massimo di 5 mila euro annui.
Inoltre, chi accede al pensionamento prima dei 63 anni, perde del tutto il diritto all’assegno previdenziale, se inizia a lavorare come dipendente.
Iniziare un’attività lavorativa da autonomo, invece, comporta la perdita del diritto al 50% dell’assegno che supera la minima dell’INPS (che, attualmente, è di 524,35 euro al mese).
La vita media si è allungata e, di conseguenza, è necessario incrementare i propri risparmi e versare i contributi per più tempo.
Nella maggior parte dei casi, inoltre, si arriva al momento del pensionamento in buone condizioni di salute e, dunque, si sceglie di riprendere a lavorare (optando, ovviamente, per un’attività non eccessivamente stancante o usurante).
Sulla base dei dati forniti dalla Società italiana di Gerontologia e Geriatria, l’anticipo eccessivo della pensione aumenterebbe, addirittura, un precoce declino fisico e cognitivo. Gli studi, infatti, dimostrano come, entro i primi due anni dal pensionamento, aumentano i disturbi cardiovascolari e la depressione.
Non bisogna, ovviamente, generalizzate, ma, in molti casi, riprendere a lavorare può avere effetti positivi.
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