Alcuni pensionati potrebbero essere costretti a restituire all’INPS i soldi dell’assegno percepito. In quali casi?
Può capitare che l’INPS si accorga di aver conteggiato in maniera errata l’ammontare della pensione e, dunque, chieda al contribuente il rimborso delle somme.
La determinazione degli importi spettanti viene, nella maggior parte dei casi, effettuata attraverso le informazioni fornite dal contribuente. Di conseguenza, se l’interessato omette o sbaglia la comunicazione dei dati, potrebbero esserci gravi conseguenze sul diritto o l’importo della prestazione.
L’INPS, infatti, potrebbe richiedere la restituzione di quanto versato. Quando si rischia il rimborso della pensione?
Ai sensi dell’art. 53 della Legge n. 88/1989, l’Istituto di Previdenza può, in ogni momento, rettificare le pensioni, se riscontra errori in fase di attribuzione, erogazione o riliquidazione dell’assegno.
Nell’ipotesi in cui il pensionato abbia ricevuto somme non spettanti, la restituzione è dovuta solo se viene provato il dolo dell’interessato, cioè un atteggiamento consapevolmente in malafede.
L’art. 13, comma 1, della Legge n. 412/1991 stabilisce che la restituzione può essere disposta anche se l’errore da parte dell’Ente previdenziale è causato da omessa o incompleta comunicazione da parte del pensionato.
Sulla questione è intervenuta anche la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 5984/2022 ha sancito che l’obbligo di restituzione della pensione all’INPS non sorge se si verificano le seguenti condizioni:
Ad esempio, se Tizio omette di comunicare una variazione relativa al reddito e l’INPS calcola l’importo della pensione sulle informazioni incomplete rese dal contribuente, potrebbe chiedere la restituzione delle somme indebitamente versate e riscosse, perché l’omissione sarà considerata dolosa.
Per evitare spiacevoli conseguenze, è fondamentale che i pensionati rendano sempre disponibili i dati per il corretto calcolo dell’assegno pensionistico. In questo modo non solo si garantisce una sana relazione con gli Enti Previdenziali, ma si tutela anche l’equità del sistema pensionistico.
È, infine, opportuno porre l’accento su un’altra situazione, ossia l’obbligo di restituzione da parte del datore di lavoro. Al riguardo, è divenuto celebre il caso di un dipendente postale licenziato e poi riassunto.
Nel periodo di licenziamento, l’interessato aveva ricevuto la pensione, annullata successivamente alla riassunzione.
La Corte di Cassazione ha stabilito che le somme dovessero essere restituite dal datore di lavoro, perché aveva usufruito illegittimamente del licenziamento annullato, ai danni dell’INPS, che aveva pagato la pensione senza che ci fosse un idoneo presupposto.
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