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Economia

Rinuncia all’eredità: cosa succede in caso di silenzio? Gli effetti possono essere dannosi

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I chiamati all’eredità possono scegliere se accettare o meno il lascito. Quali sono le conseguenze della rinuncia?

La normativa italiana stabilisce che l’eredità deve essere accettata entro 10 anni dal decesso, altrimenti il diritto dell’erede si prescrive.

I chiamati all’eredità possono anche decidere di rinunciare al patrimonio del defunto – InformazioneOggi.it

Non esiste, però, una simile disposizione relativa alla rinuncia. Per questo motivo, sorgono molti dubbi in caso di silenzio degli eventuali eredi. Se non manifestano in maniera chiara e univoca la loro volontà, il loro silenzio viene valutato come assenso oppure come rinuncia agli averi del defunto?

A tal fine, evidenziamo che, per la legge, se il silenzio dura per più di 10 anni dall’apertura della successione, i chiamati all’eredità perdono il loro diritto. Di conseguenza, si avrà la rinuncia al patrimonio.

È questo il motivo per il quale non esiste un preciso termine per effettuare la rinuncia, perché questo viene ricavato dalla mancata accettazione.

Di conseguenza, i potenziali eredi hanno la facoltà di rinunciare all’eredità in uno dei seguenti modi:

  • in maniera espressa, cioè tramite una dichiarazione esplicita resa dinanzi al notaio o al cancelliere del Tribunale di residenza del defunto;
  • in maniera tacita, cioè senza una evidente manifestazione di volontà, ma per fatti concludenti.

Accettazione tacita dell’eredità: attenzione a questi comportamenti

Alla luce di quanto abbiamo evidenziato, dobbiamo specificare che, purtroppo, molti chiamati all’eredità commettono un grave errore.

Non è sufficiente il mero silenzio affinché intervenga la rinuncia. È necessario, infatti, che non vengano compiuti atti di accettazione tacita. Tra di essi vi rientrano:

  • l’uso dei beni del defunto senza aver compiuto l’inventario entro 3 mesi oppure (se l’inventario è stato effettuato) senza trasmettere la rinuncia entro i 40 giorni successivi;
  • la vendita dei beni rientranti nella successione;
  • il prelievo di denaro dal conto corrente del defunto;
  • il voto espresso in un’assemblea di condominio di un appartamento oggetto di successione;
  • la sottoscrizione di un contratto d’affitto;
  • l’accatastamento di un immobile appartenente al defunto;
  • la riscossione di un assegno intestato al defunto;
  • la costituzione in una causa iniziata dal defunto e sospesa a causa della sua morte;
  • l’azione di riduzione della legittima.

Termine di prescrizione ridotto: in quali ipotesi è accordato?

La legge concede al chiamato all’eredità 10 anni di tempo per decidere se accettare o rinunciare al lascito.

Potrebbero, però, esserci dei soggetti controinteressati, bisognosi di conoscere il destino del patrimonio del defunto in tempi più brevi. È il caso, ad esempio, di altri eventuali eredi oppure dei creditori che intendono pignorare una parte dell’eredità per soddisfare la propria pretesa.

Per questa ragione, la legge stabilisce che, coloro che ne hanno interesse, possono richiedere al giudice l’abbreviazione del termine per l’accettazione o la rinuncia.

In questo caso, viene fissato un termine breve, entro il quale il chiamato all’eredità deve necessariamente comunicare se intendere accettare o rinunciare. Scaduto tale termine, l’interessato perde il diritto all’eredità e viene considerato ufficialmente rinunciatario.

Questo meccanismo prende il nome di “actio interrogatoria” e permette a tutti gli interessi di evitare pregiudizi derivanti dal protrarsi dell’incertezza dei chiamati all’eredità.

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