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Economia

Licenziamento nell’ultimo giorno del periodo di comporto? Non devi dire addio al posto di lavoro

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Se il datore di lavoro o azienda infligge il licenziamento al lavoratore nell’ultimo giorno del periodo di comporto, non potrà tuttavia allontanare il lavoratore malato o infortunato. C’è una norma del Codice Civile che tutela quest’ultimo. 

La Cassazione in una sentenza di alcune settimane fa è stata molto chiara: è da ritenersi nullo, e dunque privo di effetti per il lavoratore dipendente, il licenziamento se non è decorso del tutto il periodo di comporto, ovvero tutti i giorni che lo compongono.

Licenziamento (Foto InformazioneOggi.it)

Infatti la Suprema Corte, con sentenza n. 23674 dello scorso 28 luglio, ha ricordato che il licenziamento opposto ad una lavoratrice assente per motivi di salute e avutosi nell’ultimo giorno del periodo massimo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva, non dà luogo alla cessazione del rapporto di lavoro in essere. In sintesi, il lavoratore malato avrà comunque diritto alla conservazione del posto, pur con una decisione di questo tipo e pur con la volontà contraria del datore.

Vediamo qualche ulteriore aspetto della decisione della Corte, che certamente ha un grande rilievo in materia di diritti del lavoratore.

Licenziamento per superamento del periodo di comporto: il contesto di riferimento

Nonostante la sospensione della prestazione di lavoro, il periodo di comporto protegge il lavoratore o la lavoratrice assicurando la conservazione del posto di lavoro durante il periodo di terapia, cure e guarigione. E’ di fatto un diritto del lavoratore, insieme a tutti gli altri previsti e tutelati nei Ccnl.

In particolare per periodo di comporto la legge fa riferimento al totale delle assenze per malattia o infortunio da parte di un lavoratore subordinato. Vi è infatti un tetto massimo, previsto nei contratti collettivi di lavoro, oltrepassato il quale il lavoratore può essere licenziato per superamento del periodo di comporto. Ciò nella finalità di salvaguardare comunque la produttività e organizzazione aziendale, trascorso un ragionevole periodo di tempo al termine del quale il lavoratore non è ancora in grado di tornare a lavorare.

Ma attenzione: non pochi contratti di lavoro, in ipotesi di superamento del periodo di comporto, permettono al lavoratore di richiedere un supplementare periodo di aspettativa non retribuita.

Peraltro in alcune sentenze del recente passato la Cassazione ha rimarcato che il licenziamento per superamento del periodo di comporto rappresenta una fattispecie a se stante di licenziamento, ovvero una situazione di per sé idonea a produrlo, ma diversa da quelle connesse ai concetti di giusta causa o giustificato motivo oggettivo e soggettivo. Tuttavia le considerazioni della Suprema Corte interessano qui sotto un altro punto di vista, ovvero la nullità del licenziamento per non superamento dell’intero periodo di comporto.

Licenziamento per superamento del periodo di comporto: la Cassazione dà ragione alla lavoratrice per un ben preciso motivo

In effetti la pronuncia citata in apertura, che pur giova ricordare, si colloca su una consolidata linea della giurisprudenza di legittimità. Infatti già in passato varie altre sentenze hanno ritenuto nullo e privo di effetto il recesso unilaterale del datore di lavoro, a causa del perdurare delle assenze dal posto di lavoro per malattia o infortunio – ma prima del termine di tutto il periodo di comporto.

Nel caso concreto in cui si è pronunciata, la Corte ha ragionato in termini diversi dalla Corte d’Appello, e ha infatti ritenuto questo licenziamento illegittimo, perché inflitto l’ultimo giorno del comporto.

Ma d’altronde il fondamento del ragionamento della Cassazione sta in quanto previsto al secondo comma dell’art. 2110 del Codice Civile. Infatti si tratta di norma che non permette soluzioni differenti da quella adottata, essendo di fatto una norma imperativa mirata a tutelare il diritto al lavoro ed alla salute del lavoratore, proteggendolo con il periodo di comporto di cui si tratta.

Dunque secondo i giudici di legittimità non vi sono dubbi: la salute non può essere tutelata nel modo adeguato se non in tempi sicuri e lassi di tempo certi entro cui il lavoratore, ammalatosi o infortunatosi, possa contare sulle opportune terapie senza il timore di perdere il posto di lavoro. Proprio questa è la finalità del periodo di comporto e la decisione della Corte non ha potuto fare altro che dichiarare nullo il licenziamento della lavoratrice, accogliendone così il ricorso.

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