In arrivo controlli da parte del Fisco sui conti correnti di tutti. L’accertamento fiscale è legittimo in caso di presunzione legale.
Contro l’evasione fiscale il Fisco porta avanti una battaglia da molto tempo. Le perdite di denaro creano un disavanzo nelle casse dello Stato non indifferente.
Per questo motivo i controlli si concentrano sui conti correnti soprattutto dei privati. Tra l’altro, gli accertamenti riguardano tutti. Anche dipendenti e pensionati.
I versamenti, soprattutto nuovi e di grosse cifre, spesso possono portare a dei sospetti da parte del Fisco circa la provenienza dei soldi. Questo perché porta a presumere un reddito superiore rispetto a quello dichiarato.
Di conseguenza, il Fisco può richiedere dei controlli ai fini delle imposte sui redditi pensando di trovarsi davanti a situazioni di evasione fiscale. Il contribuente alla richiesta di controllo non può esimersi, anzi deve dichiarare con precisione la provenienza delle somme versate.
Insomma, ci si trova davanti a una presunzione legale, ovvero all’ipotesi in cui la legge risale da un fatto noto a un ignoto. Tali accertamenti valgono per tutti i contribuenti: lavoratore dipendente (privato e pubblico) e autonomo; partita IVA; commerciante; privato cittadino; pensionato.
Ha ribadirlo è l’Ordinanza numero 18245 del 2022 della Corte di Cassazione.
L’accertamento fiscale è legittimo quando è basato sui versamenti ingiustificati dei conti correnti bancari del contribuente. Lo stabilisce l’articolo 32 del DPR numero 60 del 1973. Solo “prove certe, precise e concordanti” possono fermare il Fisco da una verifica fiscale sulla provenienza di denaro depositato sul proprio conto corrente sia bancaria sia postale.
Il caso della Corte di Cassazione riguardava proprio il ricorso di un contribuente, dipendente pubblico, al quale erano stati contestati dei versamenti effettuati sul proprio conto corrente.
Inizialmente il ricorso era stato respinto dalla Commissione tributaria di primo grado. In seguito, la Commissione di secondo grado aveva accolto il ricorso con la motivazione che, oltre al reddito come dipendente pubblico, avesse versato sul conto importi attribuiti a vincite di gioco maturate all’estero.
I giudici della Cassazione, invece, hanno ribaltato di nuovo la sentenza. Infatti, non hanno ritenuto plausibili le prove consegnate dal contribuente perché riguardavano solo gli accessi alle case da gioco e non le vincite. Di conseguenza, i versamenti erano considerati reddito maggiori e, come tali, andavano tassati.
Durante la sentenza, i giudici hanno ribadito il concetto di presunzione legale. In caso di accertamenti fiscali, che riguardano versamenti o prelevamenti ingiustificati operati su conti correnti bancari, anche di dipendenti (sia pubblici sia privati) si devono riferire a ricavi.
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